Descrizione
Gli occhi di un bambino di città raccontano la fine della civiltà contadina, una storia appena dietro le nostre spalle eppure già lontana nel tempo.
Osservatorio privilegiato, la grande casa dei nonni paterni, in quella terra di Puglia che prima, e più che altrove nel meridione, ha subito il repentino e traumatico passaggio alla modernità.
Lì, quel bambino, trascorre ogni anno un mese delle sue vacanze estive.
I vari personaggi del romanzo, come Rocco il giostraio, Pinuccio e Nicola, il venditore di ghiaccio, entrano ed escono dal racconto nell’arco di un trentennio, con le loro tante, piccole storie che s’intrecciano alle vicende familiari del protagonista.
Tutto sembra destinato ad essere trascinato via dalla corrente della Grande Storia.
redazione –
Anche il sottoscritto, come l’autore, da bambino passava le sue estati nella casa dei nonni.
Il romanzo di Marcello Loprencipe ha riportato alle labbra il sapore tipico delle cose buone di un tempo, quando non esistevano i social network, e le persone non passavano le loro giornate attaccate allo schermo di un telefonino. Il tempo in cui il sorriso e la tolleranza verso gli altri erano il modo in cui ci si relazionava verso il prossimo.
E proprio seguendo la parabola malinconica dei sogni del venditore di ghiaccio che osserviamo l’inizio della decadenza della semplicità a scapito dell’avanzare del “progresso”, quello che allontana i cuori dai buoni sentimenti.
I personaggi incontrati lungo il cammino della piccola storia sono come bozze disegnate col carboncino, appena accennate, senza quasi alcun riferimento al loro aspetto fisico: il lettore può così vestirli con i panni di suo nonno, di quello zio lontano o del tal lavoratore o bracciante che frequentava la casa delle sue vacanze di gioventù. L’immedesimazione è in questo modo completa, e alcuni spunti di riflessione dell’autore non possono lasciare insensibile chi legge.
“L’ombra del carrubo” è uno schizzo del nostro passato che in alcuni momenti ha la potenza dell’affresco nei nostri ricordi.
Un’occasione da non perdere per riscoprire quelle atmosfere da troppo tempo perdute.
valeria poggi –
Una lettura che incanta sia da un punto di vista tematico, che strutturale. É la magia della letteratura: l’uso preciso della parola – capace di rendere straordinario il quotidiano – delle pause e dei silenzi della scrittura, accomodati in un’abile commistione di generi e forme letterari, registri linguistici e modalità espressive.
Senza cedere al desiderio di rappresentare ad ogni costo ogni cosa, ogni sfumatura, l’autore sceglie il dettaglio, il frammento, circoscrive le storie, lasciando a chi legge il piacere di immaginare ciò che resta, di interpretare quei silenzi e le pause, lo spazio infinito oltre la pagina.
Cristina –
Ci sono libri che hanno il profumo del pane.
Quel profumo di cose buone e vere.
In qualsiasi momento della nostra vita il pensiero del pane è legato ai ricordi e suscita una dolce nostalgia. Questa è la sensazione che si prova leggendo ” L’ombra del carrubo” di Marcello Loprecipe.
Marcello riporta in vita la sua infanzia, le estati trascorse in Puglia, quei sapori e quelle atmosfere. Riporta in vita personaggi e legami di un mondo forse passato, ma che poi scopriamo fa parte di ognuno di noi.
Nel libro ho scoperto i ritmi e le atmosfere della Puglia, ma allo stesso tempo ho rivissuto le campagne della mia Romagna, i pomeriggi dalla mia bisnonna, i misteri della stalla, dei compiti affidati ai bambini come, nel mio caso, sgranare le pannocchie e tagliare l’erba per i conigli. Mi sono tornati alla memoria i personaggi raccontati da mio nonno, unici e caratteristici come il venditore di ghiaccio dipinto da Marcello.
Questa è la magia, leggere di un mondo e sentire riaffiorare il proprio.
Questo è il dono che ha la scrittura dell’autore, ti accoglie in punta di piedi, ti scorre addosso ma poi ti rimane con una dolcezza infinita.
Libro unico da leggere o regalare a persone care come un dono prezioso.
GIANFRANCA GARAVINI –
L’ombra del carrubo, un libro letto da tempo ma che ancora giace sul comodino, mentre due bimbi abbracciati da un albero maestoso mi guardano con candore. E’ arrivata l’ora di riportarlo sullo scaffale ma prima un ultimo sguardo alle sue parole.
Spesso succede che, col trascorrere del tempo, si vada in cerca delle tracce del nostro passato, a volte basta solo un odore, magari come quello dello zucchero filato o delle noccioline tostate a riportarti a quei giorni. Sapori, intensità e sfumature della nostra memoria tali da portare Marcello Loprencipe ad aprire il baule dei suoi ricordi per donarli a noi.
“Una volta grandi, dovremmo afferrare l’occasione per tornare a ridere con loro, i nostri invincibili eroi di allora e giocare nuovamente insieme, certo in maniera diversa. Trovare un istante per sussurrare “Ti ricordi papà di quella volta che mi hai fatto fare il motoscafo?” e volare in quei luoghi, che ricordiamo sempre uguali, che tali però, restano solo nella nostra mente.”
E con gli occhi di un bambino e quella dolcezza di sognatore che lo contraddistingue, ci narra delle vacanze estive trascorse in Puglia, insieme alla sua famiglia, nella grande casa dei nonni dove con i suoi profumi, i colori, i suoni, i santi e i rosari, le persone a lui care tornano in vita pagina dopo pagina ripercorrendo trent’anni di storia.
Diversi personaggi popolano i suoi ricordi, come Pinuccio e l’incontro con l’uomo delle stelle, Rocco il giostraio che a forza di sole braccia, aveva fatto girare il mondo ed i sorrisi dei bambini e Nicola, il venditore di ghiaccio e del suo più grande desiderio: quello di vedere il mare.
In queste pagine ci rivela anche dei suoi sogni da bambino, quel bambino che guardava con occhi sognanti uno sport per lui spettacolare: il football americano, senza sapere allora, che un giorno sarebbe poi diventato un “grande” proprio di quello sport, un pioniere del football americano in Italia. Già, perché i sogni non solo si possono inseguire, ma anche afferrare, tutto dipende dall’intensità che mettiamo nel rincorrerli.
Ed il mare, quell’amato mare che ti fa capire quanto si può essere insofferenti nell’accettare il limite delle cose…
Marcello sa cogliere il fascino di una notte stellata, la bellezza della natura, e ha la capacità di trasportarci nella sua realtà, così mi ritrovo a percorrere quei sentieri nelle campagne pugliesi e vivere quelle atmosfere a me sconosciute, tra l’orecchio di ferro, i mandorli, gli alberi di fico, e le piante di olivi, fino ad arrivare al grande albero di Carrubo che dal vivo non ho mai visto.
Nella sua voce affiora la dolcezza e la poesia nel ricordare una Puglia che non esiste più.
Magistrale la descrizione dei luoghi e della vita di persone a lui care, dove scorre la forza e la profondità del suo animo e lascia, a noi lettori, un’eco sottile di malinconia per quello che è andato perduto, ma anche il seme della speranza per il domani.
Questo libro è un piccolo gioiello da donare alle persone care.
gata.7 –
Col tempo s’impara a diffidare degli scrittori esibizionisti, i quali cercano solo il plauso del pubblico, la celebrazione per sentirsi legittimati. Quanto più l’autore è sincero, tanto più si amano i suoi libri, che si limitano ad esistere, a vivere di luce propria.
Marcello Loprencipe “non scrive perché c’è un pubblico, scrive perché c’è la letteratura”, come disse in un’intervista l’intellettuale statunitense Susan Sontag di se stessa.
Ne “L’ombra del Carrubo” è presente un’alchimia segreta tra le parole, vi è maestria nell’usarle come fossero pennelli che dipingono una tela.
La sua poesia è alla continua ricerca della bellezza, di un linguaggio semplice, evocativo ed insieme impenetrabile, mentre la parte narrativa esige un rigoroso silenzio.
Ci si immerge in una dimensione nella quale si valorizzano le pause, come espressioni di attimi, di incroci di sguardi che naufragano nell’universo delle sue rievocazioni.
C’è un legame tra il tempo accaduto e un tempo possibile, è presente una lingua del sentire che, come frammenti di cristallo, riceve luce dalle riflessioni sul visibile, sulla corporeità delle ferite, sul raggiungimento di un’armonia.
Sono stati creati dei microcosmi, attraverso la densità delle immagini, per raccontare la forza dei legami familiari, il potere magico dell’appartenere a qualcuno, ad un luogo, ad un istante, poiché quando nasciamo, non sappiamo chi siamo. E se nessuno ce lo dice l’esistenza diventa complicata.
Per quel bambino tutto diventa un canto alla libertà interiore, alla nostalgia di un amore vero mai sperimentato, alla scoperta di quell’incantesimo meraviglioso che si cela in ogni cosa che lo circonda.
Marcello Loprencipe è un cantastorie dei nostri giorni, la cui arte del narrare ci regala uno scrigno dei suoi ricordi più intimi, di storie sedimentate e rese ancora più credibili dalle infinite realtà possibili, arrivando in quel brandello di anima che la vita, o forse noi, non ha avuto l’occasione di colmarsi.
Voglio ringraziarlo per avermi insegnato che la memoria è un dono posseduto da tutti noi, ma di cui spesso ne ignoriamo le potenzialità, con le sue attese e cadute, con i suoi addii e ritorni, con il suo fluire e perdersi, in quel gioco instancabile di pensieri che seguitano a pensarci.
claudiazuccarini –
Marcello Loprencipe, con questo suo terzo romanzo, ci trascina letteralmente in uno struggente e vivido affresco della Puglia. Essendo io pugliese, originaria di un paese nei pressi di San Vito dei Normanni, ho “vissuto” con alacrità e partecipazione intensa ogni personaggio, ogni minimo dettaglio paesaggistico ed ogni rito abitudinario. L’autobiografia di Loprencipe ci racconta molto del suo essere uomo ora, a cavallo tra ricordi nostalgici e il tempo presente, frenetico e folle. Rimane la purezza nel cuore di chi ha potuto vivere e conservare nei ricordi realtà arcaiche, ma umane, vere e indelebili. Il ritorno alle proprie radici è necessario, imprescindibile e talvolta rafforzato da incontri casuali e scritti nelle stelle. Per me è stato un tuffo nella mia infanzia, in scene e abitudini difficili da dimenticare: rivedo le sedie poste dinanzi alle case per prendere fresco nelle sere estive, rivedo me e mio padre schiacciare mandorle con un sasso e mangiarle lì per lì o tritarle per farne uscire il latte che tanto mi piaceva, rivedo gli interminabili giorni in cui ci dedicavamo alla produzione della salsa fatta in casa e rivedo me stessa girare sola tra i vicoli del mio paese. “Dimmi, hai anche tu un posto fra i ricordi, fatto di mura bianche di calce, di strade assolate? Portoni addormentati, lasciati aperti su stanze fresche nella penombra. Pomeriggi carichi di voglia di non far nulla.” Sì, ho un posto piuttosto spazioso per questi ricordi… I personaggi di questo romanzo sono ben costruiti, che siano reali o di fantasia, e sono personaggi capaci di sognare, di guardare la luna, di osservare il cielo per carpirne i segreti delle stagioni che si susseguono, in un ritmo imperituro e naturale, personaggi che accarezzano il mare e la campagna con gli occhi, come un amante rispettoso. Tutto muta, forse non in meglio, chi lo sa, ma rimane la speranza di veder rinascere un nuovo albero di carrubo o di poter incontrare un giostraio generoso. Una nota conclusiva sulla nuova veste grafica di Campi di carta è necessaria. L’opera ha un editing ed un’impaginazione accattivante, “leggera” e allo stesso tempo elegante, dallo stile quasi retrò, che rende agevole la lettura. Consiglio vivamente quest’opera.